sabato 17 aprile 2010

FINIsce qua?


Certo, non si può dire che la situazione venutasi a creare dopo l’incontro ad alta tensione di ieri tra Fini e il Cavaliere fosse inaspettata, come del resto la richiesta stessa di un confronto chiarificatore. Berlusconi non è il tipo da tirarsi indietro quando si richiede un chiarimento politico, ed il fatto che per qualche giorno avesse nicchiato, mentre il Presidente della Camera sollecitava l’apertura di un tavolo – a due – di discussione, era motivato dalla piena consapevolezza di quanto sarebbe stato detto e dalle conseguenze.

Non ce ne voglia il Presidente Berlusconi; non ci permettiamo di mettere in dubbio la sua capacità di analisi politica ma come era chiaro a lui che saremmo arrivati al punto in cui ci troviamo adesso, era chiaro un po’ a tutti. Ricaricate le pile, dunque, dopo l’estenuante ma soddisfacente campagna elettorale per le regionali si è calcato l’elmetto sulla testa e si è preparato a sostenere finalmente il conflitto “principe” che rode dall’interno il Popolo Della Libertà fin dalla nascita: quello tra lui e l’ex leader di AN.

I due uomini - lo possiamo dire - non si sopportano più. L’Uno (il Cav.) ricorda fin troppo bene il ruolo decisivo che svolse dal 1993, anno delle elezioni a Roma, nello sdoganamento della Destra italiana da “fascista” a forza di governo e per questo si aspetta riconoscenza; l’Altro (l’ex AN) non è abituato per natura a nutrirne e rinfaccia al Premier una gestione dirigistica e nordista del Partito. L’Uno è abituato a veder esaudite le sue direttive senza discussioni e l’Altro… anche. Con un “però” di discreta rilevanza: L’Uno ha i voti (e tanti) e vince le elezioni, mentre l’Altro ne ha considerevolmente meno e, da solo, un’elezione non l’ha mai vinta. Oltre a questo, si sono rese sempre più evidenti enormi differenze (proviamo ad usare una parola “pesante”) culturali e, di conseguenza, politiche.

Se si riflette, infatti, sull’intero percorso politico dei due, risulta cristallina la grande misura della distanza che li separa. Mentre Fini è nato con la politica, partendo da giovanissimo militante del Msi e scalando il partito, con l’aiuto determinante di Almirante, dalle dirigenze giovanili fino a diventarne il segretario, Berlusconi, dal canto suo, ritiene a torto o a ragione un vanto l’essere entrato in politica in età matura per l’essersi dedicato prima alla sua attività di imprenditore; ed è questa la principale e probabilmente insanabile differenza tra i due. Fini, comunque lo si voglia vedere, fascista o neo-democristiano, rappresenta a dispetto dell’età (ben più “giovane” di quella del Cavaliere) un politico di “vecchio” stampo, cresciuto a pane e sezione di partito, per il quale la militanza, più che le capacità, ha rappresentato la qualità essenziale per arrivare a dirigere il partito e per il quale l’Istituzione Statale rimane qualcosa di sacro ed inviolabile al quale il singolo cittadino deve sottostare e servire. In questo non è per nulla diverso dall’opposizione post-comunista rappresentata in parlamento dal PD. Berlusconi, invece, ha drasticamente modificato rivoluzionandola l’idea stessa del “fare” politica e con lei la figura del politico; cosa per il quale l’establishment istituzionale ed istituzionalista, anche economico, italiano l’ha sempre mal visto e mal digerito.

Siamo perciò arrivati alla resa dei conti e allo scontro finale di queste due visioni della società. Che cosa è lecito attendersi quindi ora? A nostro parere non molto nel breve periodo. Fini proverà a raggiungere la quota minima di deputati (20) e di senatori (10) per creare un nuovo gruppo parlamentare attraverso il quale provare a condizionare l’attività del Governo, senza però tirare la corda fino al punto di rottura ed evitando quindi elezioni anticipate che, nella sua posizione, equivarrebbero ad un suicidio per lui e per tutti quelli che vorranno seguirlo. Si prospettano tre anni di governo non inframezzati da campagne elettorali (ma ne siamo sicuri? E le molte comunali dell’anno prossimo?) nelle quali bisogna necessariamente dare un’idea di compattezza all’elettorato. Questi anni saranno però inevitabilmente viziati da questo “scisma” e a risentirne saranno le disgraziate riforme per intraprendere le quali, a causa di divisioni interne od esterne, non si riesce mai a trovare il giusto clima di dialogo.

Questa situazione, a ben vedere, può risultare fastidiosa per il PDL anche a causa di un altro motivo: è un salvagente tirato verso Casini e l’UDC la cui situazione, dopo la tornata elettorale regionale, non è certamente delle migliori. E’ balzato agli occhi di tutti, infatti, che l’UDC dove ha corso da solo è stato relegato al margine dai partiti più grandi; dove era alleato con il PD ha miseramente fallito; insieme al PDL ha vinto. Questo riduce drasticamente le possibilità di manovra di Casini e segna la fine della politica dei due forni grazie alla quale, nello scudo crociato, si puntava contemporaneamente sia a sopravvivere in questa condizione ibrida, sia comunque a cercare di guadagnare più posti di governo regionale possibili. La scontata soluzione sarebbe stata quella di un progressivo riavvicinamento (ma con la cenere in testa) dell’UDC al PDL. Ora, grazie all’insofferenza di Gianfranco, Casini avrà tutto il tempo per attendere la costituzione di questo nuovo soggetto politico centrista insieme a Rutelli e altri ex Margherita fuoriusciti dal PD, ben sapendo di poter trovare una confortevole sponda e – perché no? – un potenziale alleato in Fini che non si farà pregare per confluirvi.

Sarà certamente interessante osservare come si comporteranno non tanto i dirigenti di alto livello o i parlamentari ex AN, quanto i quadri intermedi, dalle regioni alle province ai singoli comuni. Seguiranno l’ex Capo o rimarranno in orbita PDL – Berlusconi? Tutto dipenderà da quale forma il Premier deciderà di dare al partito dopo la scissione, visto che un riassetto sembra a tutti inevitabile e, per alcuni versi, già in corso. Se vedranno che verrà premiata la precedente appartenenza a Forza Italia allora non si faranno scrupoli a riscoprirsi fedelissimi e ad accasarsi di nuovo vicino a Gianfranco (a costo di morir Democristiani), ma a nostro parere difficilmente lasceranno la casa dove già dimorano per trovarne una molto più spoglia di mobilia e, soprattutto, di voti. Nulla di strano: è politica, e l’autoconservazione è sempre il primo pensiero.

AG

1 commento:

  1. La questione di questi giorni non ha niente di politico ma è solo personale, Fini soffre la leadership di Berlusconi, era chiaro da tempo. Ha anche subdolamente remato contro il suo Governo e contro gli impegni della campagna elettorale regionale quasi più contento di una sconfitta, per dimostrare cosa? Lamenta il fatto che vorrebbe contare di più perchè è rimasto solo visto che all'interno del PdL gli ex AN hanno avuto uno spazio enormemente più grande a quello che avrebbero dovuto avere se si fossero rispettate le proporzioni legate alle percentuali elettorali (a garanzia di una stessa dignità politica rispetto a un partito non grande certo come Forza Italia)creando tutta una serie di correnti indipendenti l'una dall'altra e legate esclusivamente al referente politico cui appartengono. Diciamo che forse a Fini la situazione è scivolata di mano e ormai è troppo tardi, ma tanto sono sicura che sta già strizzando l'occhio a Casini e a un ipotetetico partito di centro che raccolga i "senza fissa dimora" della politica.
    m.g.

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