lunedì 13 dicembre 2010

Terzo "pollo" a chi?

Esser democristiani non è difficile e anche se non tutti possono vantare un passato politico nelle fila della storica DC sono in molti a professarsi tali, chi apertamente, chi a mezza bocca, chi di fatto. Addirittura chi ha militato e diretto l'MSI ed è stato allievo del repubblichino Almirante ora si autoproclama moderato...
I "veri" democristiani sono, però, tutt'altra cosa, maestri assoluti dell'arte della sfuggevolezza; nessuno riuscirà mai a far dire ad un democristiano qualcosa che esso stesso non abbia intenzione di rivelare, tentarci è tempo perso.

Questa non può essere un'abilità acquisita, si è così dalla nascita. Sta poi all'appprendista democristiano sviluppare tale dote.
Accade, però, che talvolta l'attenzione possa calare, specialmente in condizioni di forte stress come, ad esempio, quando ciò che il democristiano tiene nella più alta considerazione (la propria poltrona) subisca dei rischi. Quando ciò avviene anche il migliore tra tutti può - attenzione - rivelare almeno in parte quello che sinceramente pensa.


Questo è quanto è successo a Casini in quel di Benevento, dove ha dichiarato che in questo "futuribile" Terzo Polo non crede affatto. In tutta onestà lo stavamo aspettando un po' tutti il Pier; possibile mai - ci chiedevamo - che abbia seriamente intenzione di svendere così il partito che con tanta costanza ha posizionato nella terra di nessuno del Parlamento Italiano?

Non poteva essere ed infatti non è stato.

Accortosi dell'errore è subito corso ai ripari facendo capire che, per carità, i rapporti con Fini non potrebbero essere dei migliori e si è tutti convinti e compatti (?) nel votare la sfiducia di domani. Purtroppo le immagini sono come al solito impietose e ciò che è stato detto è stato detto. La smentita è un altro rito che i veri democristiani celebrano con meravigliosa eleganza. 
Nella realtà è ovvio che, fino al voto di fiducia, Pier non voglia abbandonare a favore di altri tutto il lavoro d'opposizione che l'UDC ha svolto nella legislatura; d'altra parte, al contrario di Fini, lui ha sempre votato contro il Governo, e questo è un nodo centrale di riflessione politica.

Cosa ha da perdere Casini in una guerra di logoramento parlamentare? A dire il vero molto poco, cosa che non si può dire né di Rutelli né, tantomeno, di Fini, il quale comincia a sentire il peso della responsabilità della crisi interamente sulle proprie spalle. Che cosa fa allora Pier? Si dimostra lieto di accogliere sulle sue posizioni i nuovi arrivati ma è pronto a mollarli non appena appaia qualcosa di vantaggioso all'orizzonte come un ingresso al Governo da salvatore della Patria e delle Istituzioni.


E Fini è sistemato: non si andrà a votare ma il progetto di dare "dignità politica" alla scissione che ha compiuto ed alla crisi che ha aperto si squaglia davanti all'incapacità di creare un nuovo soggetto politico dal quale partire per comporre l'embrione della Terza Repubblica. L'onere di dover spiegare l'insuccesso sarà un fardello pesante che non potrà condividere con nessuno.
Casini, seppur prima donna tanto se non più di Fini, ha accettato che un regicidio è impossibile e che Berlusconi lascerà quando sarà lui stesso a deciderlo.

La pazienza è la vitù dei forti, qualcuno non ne ha.

PC


venerdì 10 dicembre 2010

"Caro Renzi, ma come fa uno come lei a stare con i comunisti?"

"Salve, Sindaco. Posso darti del tu? Dammi del tu anche tu."

Diciamolo subito: lo "sbarbatello" Matteo Renzi se la sta ridendo sotto i baffi. In quest'ultimo mese e mezzo che si sta vivendo come il respiro prima del tuffo in attesa del voto di fiducia è riuscito (unico tra tutti) per ben due volte a catalizzare l'attenzione su di sé e su qualcosa che non fossero le scintille Berlusconi-Fini.
La prima, in verità, se l'è cercata fortemente quando ha indossato il caschetto giallo del rottamatore insieme alla meglio gioventù del PD ed ha sparato ad alzo zero contro la dirigenza del proprio partito colpevole, secondo lui, di essersi incartata nella discussione politico-filosofica tra le anime D'Alemiana e Veltroniana della sinistra. Cioè nella fuffa.

La seconda, invece, se fosse stata (come crediamo) preparata ad arte sarebbe da applausi a scena aperta. Non solo è riuscito, come dicevamo, a ritagliarsi il suo spazio di visibilità ma ha addirittura portato un'altra dimostrazione a sostegno della sua tesi riguardo il PD ossessionato da Berlusconi tanto da perdere il contatto con la realtà del Paese. Al di là delle diverse vedute, ci piace questo Renzi.

Non piace, invece, alla nomenklatura dei "dem" italiani. E' stato sufficiente (udite udite) accettare un invito a merenda  da parte del Premier Berlusconi nella sua dimora di Arcore per scatenare le più scomposte reazioni tra i suoi, primo fra tutti il Segretario-senza-giacca Bersani che lo ha rimproverato col suo piglio deciso dicendo che: "la sede opportuna sarebbe stata Palazzo Chigi, se se ne scelgono altre si può capire male". Chissà quindi cosa deve aver capito Bersani. Renzi ha provato a spiegare in numerose interviste (come questa da Mentana al TgLa7) che è normale ed auspicabile che un sindaco di una grande Città abbia dei rapporti con il Presidente del Consiglio, tantopiù che il merito della questione erano dei finanziamenti speciali per il Capoluogo toscano da inserire nel "Milleproroghe". Rimaniamo tuttavia scettici sul fatto che possano e vogliano chiarirsi. E' oggettivamente troppa la differenza nella mentalità, nei modi e nell'approccio alla politica tra chi proviene dalla stanca cultura catto-comunista italiana e chi, al contrario, vive nel terzo millennio.


Oggettivamente, comunque, se Renzi piace al PdL e viene criticato dal PD un problema ci sarà; per lui o per il suo partito è difficile dirlo, rimane il fatto che qualcuno che dichiara "io vado oltre la contrapposizione ideologica. Mi piace parlare concretamente delle questioni che deve affrontare un amministratore" non può che suscitare simpatia nell'elettorato di centrodestra. Forse il problema è in chi ha suscitato antipatia. 


Chissà fino a quando Firenze riuscirà a contenere la sua debordante personalità; in fondo le primarie potrebbero essere dietro l'angolo.


AG



  

giovedì 9 dicembre 2010

Similes cum similibus


Diciamoci la verità: nessuno può azzardare una previsione su ciò che succederà da qui al 14 Dicembre quando alla Camera si voterà la fiducia al Governo Berlusconi. Quando si crede di aver compreso dove si indirizzeranno i voti, ecco che compare qualche dichiarazione di esponenti di maggioranza, opposizione o Terzopolisti.

In questo quadro le dichiarazioni di Di Pietro che, rispondendo all'invito di Granata, parla di "listone" e quindi di possibile alleanza con FLI/Terzopolo in ottica anti-Berlusconi gettano ulteriore confusione sulla già ingarbugliata situazione.

Ma come: Fini rigetta la proposta indecente del PD di una "strana alleanza" di Unità (sì, ci manca solo Concita...) nazionale poiché, dice, l'orizzonte politico di FLI spazia solo nell'ambito del Centrodestra ed allo stesso tempo i suoi fedelissimi flirtano con Di Pietro? E anche quest'ultimo, che non è mai stato tenero nei confronti di Fini imputandogli scarso coraggio politico nel rimandare lo switch-off del Governo, ora considera FLI un potenziale alleato? Qualcosa non torna.
O forse sì.

I sondaggi elettorali sulle intenzioni di voto sono materia da maneggiarsi sempre con cura, si pensi alle cantonate che alcune agenzie hanno preso soprattutto durante gli ultimi tre anni; nonostante ciò alcuni dati pubblicati da alcuni fra i più quotati istituti (Euromedia, IPR Marketing, Ipsos, Crespi) sono, in verità, curiosi.
Il PdL, dopo una comprensibile fase di calo di consenso dovuta alla scissione finiana ed alla crisi di Governo, torna a crescere seppur di poco. Vien da pensare: magari qualche elettore scontento del PdL sta meditando una marcia indietro rispetto alle proprie posizioni; a guardare meglio, però, ci si accorge che FLI viene data quantomeno stabile se non in lieve guadagno. Ma se il PdL non perde più voti ed anzi ne guadagna, come fa a farlo anche FLI? Non condividevano forse lo stesso elettorato? E, a ben vedere, anche il folto popolo degli indecisi/astensionisti rimane stabile.

C'è però qualcuno che si trova a dover far fronte ad un'emorragia di voti ed è L'IDV di Di Pietro. Bei tempi quelli in cui Tonino poteva dire quello che voleva rappresentando un sicuro punto di riferimento per gli anti-berlusconiani più convinti ed insoddisfatti delle non prese di posizione di un ammuffito PD. Senza comunisti al Parlamento chi poteva offuscare la sua immagine di oppositore duro e puro (puro?) del Presidente del Consiglio?
Purtroppo per lui in politica non è mai concesso vivere a lungo di rendita e sta rischiando ora di venir superato in una gara di anti-berlusconismo da Fini che in un battibaleno è diventato il nuovo eroe del popolo dell'odio.
Certo, c'è da riflettere anche sulla composizione dell'elettorato di Futuro e Libertà per l'Italia, un partito governato da ex-missini che ora giurano d'esser diventati moderati e liberali e che verrebbero votati da oltranzisti massimalisti di sinistra.

Ovviamente fino al 14 tutto è in divenire ma le mosse di Di Pietro sembrano andare, da amante della saggezza popolare, verso la direzione del "se non puoi battere il nemico alleatici".


Il simile con il simile.

AG

Torna PolitiCose


Torna PolitiCose con una nuova squadra e una nuova veste grafica per vivere e commentare insieme le "Cose" della Politica. Divertitevi sul blog!

martedì 18 maggio 2010

Dall'auto blu alla casa blu


Privilegi, prebende e soprattutto voglia di elevarsi al di sopra dell’umile “volgo” dal quale, in larghissima parte, provengono e che, tramite il suo voto, garantisce loro di poter mantenere le posizioni acquisite. E’ questo, in sostanza, ciò che Noi popolo (o popolino) imputiamo alla attuale classe dirigente italiana e che, lo possiamo dire, ci fa veramente uscire dai gangheri.
Le istituzioni, è giusto, hanno la necessità di mantenere un determinato decoro e, di conseguenza, un determinato status; siamo l’Italia, una delle maggiori potenze industriali mondiali e non possiamo certo presentarci con un basso profilo di maniera che apparirebbe soltanto come un inutile esercizio di snobismo. Perciò capiamo e rispettiamo le spese di rappresentanza per il Quirinale, il Governo ed il Parlamento come le auto blu che, è vero,  sono tante, forse troppe, ma sono altre le cose dove sarebbe più utile e proficuo andare a risparmiare (vero Enti Inutili?).
Il problema percepito dagli elettori, però, non è tanto quello della reale incidenza sul bilancio dello Stato dei vari benefit concessi a chi ha l’onore di servire e rappresentare il popolo, quanto la spinta, dettata probabilmente da qualche celato complesso d’inferiorità, ad elevare la propria posizione sociale fino al livello delle frequentazioni che inevitabilmente un politico, specie se con incarichi di Governo, ha modo di avere.
Per essere più chiari: è raro trovare nel Parlamento italiano (per non parlare delle Regioni e delle Province) fior d’imprenditori, grandi industriali che scelgono di togliere molto tempo alle loro attività per dedicarlo all’amministrazione della “cosa pubblica”, il più famoso di tutti è, ovviamente l’attuale Presidente del Consiglio Berlusconi, ma non è certo in grande compagnia. I nostri politici sono quindi, per larga parte, persone comuni che provengono dalla fascia media della popolazione, ed è normale che sia così non foss’altro perché è quella numericamente più rappresentativa. Abbiamo perciò così, nel pieno rispetto dei valori della democrazia, un comune cittadino che, grazie alle sua qualità, riesce ad occupare un dicastero dal quale indirizzare e guidare lo sviluppo della Nazione. Almeno così dovrebbe essere, ma questo è un altro discorso.
Un Ministro della Repubblica si trova così inserito, come dicevamo, negli ambienti più alti della finanza, dell’industria, dell’imprenditoria e della burocrazia italiana, cosa buona e giusta se si rammenta sempre il ruolo grazie al quale questo accade, che è un ruolo istituzionale di rappresentanza che è inevitabilmente a termine.
Ed è qui che sorgono i problemi. Il nostro comune cittadino-Ministro tende ad abituarsi in fretta a queste frequentazioni e, sia durante l’espletamento del suo mandato che soprattutto al termine, cerca in ogni modo di non risultare una “nota stonata” e quindi di omogeneizzarsi agli ambienti dell’ upper class. Il manager “X” abita in una delle zone più chic di Roma? Il Nostro si sentirebbe in imbarazzo ad abitare in periferia, perciò comincia a vagliare tutte le ipotesi per acquistare un appartamento di lusso.
Ora, le indennità percepite dai parlamentari italiani ed ancor più dai ministri sono tra le più alte d’Europa è vero, ma nonostante farebbero ben più che gola alla maggior parte dei cittadini italiani, esse non sarebbero comunque sufficienti all’acquisto di case nel centro storico, di barche e per le quote d’iscrizione ai circoli più esclusivi; tanto più che questi compensi sono generalmente di durata limitata, infatti un ministro confermato per due legislature (10 anni) potrebbe, a buon diritto, considerarsi miracolato.
E allora, come conciliare le velleità di scalata sociale con un budget di tutto rispetto ma comunque inadeguato a sostenere spese da ricchi? Si fa come facciamo un po’ tutti – non facciamo le verginelle – ovvero si ricorre ad “aiutini” e favori. Nella forma non c’è nulla di strano, è prassi di ogni ambiente, ma nella sostanza le cose cambiano, e molto.
Se infatti un medico libero professionista che ha deciso di ripitturare la casa si rivolge ad un suo amico imbianchino ed in cambio dello sconto non gli farà pagare una visita per la figlia, siamo nelle normali cortesie che si applicano ai rapporti personali e professionali, perciò nulla di strano. Il “mestiere” del politico, però, è l’unico dove questa regola così d’uso comune non può e non deve essere applicata, per il banale ed ovvio motivo che i favori che, ad esempio, un Ministro può concedere non sono “a proprie spese” ma a spese della collettività. Si commette quindi un illecito.
Il fatto che spesso sia stato così in passato non cambia la sostanza; oltretutto non possiamo dire di trovarci davanti ad una nuova Tangentopoli, giacché qui i favori non sono destinati a qualsivoglia partito ma esclusivamente alla persona che li riceve, e questo fa capire come, anche nell’illecito, buona parte  dell’attuale classe dirigente non perda occasione di dimostrare la sua piccolezza.
Bisogna agire con tempestività ed eliminare le mele marce che rischiano di guastare il resto del raccolto. E’ confortante in quest’ottica come il Presidente Berlusconi abbia tenuto a precisare che non vi saranno “difese d’ufficio” per nessuno, e che chi ha sbagliato pagherà senza sconti qualora si sia accertata la sua colpevolezza.
Il ricambio generazionale della politica non dovrebbe passare tramite le aule di tribunale (soprattutto perché è già successo e con scarsi risultati), ma alcuni comportamenti non possono essere tollerati.

sabato 1 maggio 2010

COSA SONO: FANTASMI?

Finalmente in Belgio il primo decreto legge che segna un passo avanti nella difesa dei diritti delle donne.

Nel decreto legge belga non si fa esplicito riferimento alle donne islamiche ma a chiunque frequenti locali ed edifici pubblici coperto da un velo che renda impossibile il riconoscimento, la sanzione è lieve ( circa 25 Euro e al massimo 7 giorni di reclusione) ma altamente simbolica. L'Europa reagisce finalmente e siamo contenti che si cominci proprio dal salvaguardare i diritti inviolabili delle donne.
Perchè questo titolo: perchè il fantasma nel nostro immaginario è un'entità che vive in una dimensione parallela, fatto di una sostanza non percepibile di cui si avverte solo la presenza ma con cui è impossibile stabilire un contatto. Pensate solo un attimo di incontrare nelle vostre attività quotidiane donne completamente coperte da capo a piedi con una griglia all'altezza degli occhi, pensate di incontrarle al supermercato, alla posta, all'uscita di scuole, il primo segnale che incosciamente arriva ad ognuno di noi è l'impossibilità di instaurare un interscambio umano con questa donna perchè la simbologia del velo rappresenta una chiusura  in una dimensione vietata al mondo esterno. Ed è proprio questo il messaggio che il marito o il padre di quella donna-fantasma vuol far capire al resto della comunità, un velo a coprire una proprietà, un velo che lede profondamente la dignità di ogni donna costretta a coprire il proprio volto. La specie umana è fatta per relazionarsi con i propri simili, questo comportamento è alla base della società, a queste donne è VIETATO DI ESISTERE!
Perciò giustificazioni che arrivano anche e soprattutto da un certo tipo di politica e giornalismo radical chic che sostengono che il nostro Paese debba accogliere ogni tipo di persona così come è, con i loro usi e costumi perchè cercare di "cambiarli" è un atto di grave superbia intellettuale, sono molto lontani dal concetto di integrazione tra popoli. 
L'auspicio è che anche in Italia arrivi prestouna legge del genere nel rispetto di una corsa al rispetto dei diritti umani.

M.G:
    

mercoledì 21 aprile 2010

Il nuovo segretario del PD arriva in Ferrari


     La saggezza popolare esorta a dire che a pensar male si fa peccato ma molte volte ci si indovina. Forse questo è uno di quei casi. Nell'attesa che arrivi la soluzione definitiva della “scissione” interna al Popolo della Libertà durante la riunione del Direttivo Nazionale di domani, le agenzie hanno battuto una notizia che molti organi d'informazione (ma non tutti) hanno collocato tra le notizie riguardanti l'economia o, tirando delle conseguenze fantasiose, nello sport. A noi sembra, invece, una notizia che potenzialmente può riguardare molto da vicino la politica italiana.

     Stiamo parlando delle dimissioni dalla presidenza della Fiat di Luca Cordero di Montezemolo a favore dell'ultimo rampollo di Casa Agnelli John Elkann. L'alta finanza, in Italia più che in altri paesi, non cammina mai da sola ma va sempre a braccetto con la politica, e quest'ultima non deve necessariamente essere “alta”.

     La cronaca, prima. Già nella mattinata di ieri, a causa della convocazione di una conferenza stampa del Gruppo Fiat nel pomeriggio, l'attenzione degli investitori sul titolo del Lingotto era forte, fino a chiudere con un poderoso +9,26% alla fine delle contrattazioni. Per far capire la portata dell'incremento si può dire che il titolo Fiat ha guadagnato quattro volte in più rispetto al mese di Febbraio 2009 quando il governo Berlusconi varò il piano di incentivi alla rottamazione delle auto. Le battute di lingue biforcute non sono mancate: “Allora facevamo prima a rottamare l'autista!” tanto per far capire la situazione in cui versava il rapporto Agnelli – Montezemolo.

     L'uscita di scena di L.C.d.M. Ha, infatti, il sapore di un divorzio consensuale. Da parte Agnelli non erano mancate frecciate rivolte al Presidente detto traghettatore ed alcune prese di distanza come l'entrata di John Elkann in Confindustria al fianco della non proprio amata (da Montezemolo) Emma Marcegaglia. Il non averlo più così ingombrante in azienda ed averlo sostituito con una persona “di famiglia” è dunque, per il clan, una discreta liberazione.
Da parte sua il Luca non vedeva certo di buon occhio l'essere relegato ad un ruolo, oramai, subalterno e di mera rappresentanza come quello di Presidente di Fiat, visto che con il quasi sicuro scorporo del settore auto dagli altri rami d'azienda la chiave della stanza dei bottoni sarà unicamente nelle mani dell'amministratore delegato Marchionne.

     Oltre a questo (e qui veniamo a noi) si capisce dalle sue dichiarazioni come Montezemolo vivesse, di fatto, come un fastidio l'essere Presidente del più grande gruppo industriale italiano. Il non esserlo più, infatti, «mi permetterà – spero - di campare un po' meglio e poi di poter esprimere un po' più liberamente certe opinioni perché quando uno fa il presidente di un'azienda è tenuto a rispettare anche posizioni ed opinioni».

     E quali saranno queste opinioni così scomode da non poter essere dette dal Presidente della Fiat? Stiamo parlando di politica? Sembra proprio di sì.

     Partendo da questo assunto, allora, molte tessere del puzzle si inseriscono al proprio posto. Si capisce perché la sua fondazione “Italia Futura” abbia presentato ben due piani, per così dire, “governativi” sia sul fisco che sulla riforma della sanità ed anche – ad essere veramente maliziosi – perché Fini si sia lanciato nella sua rivolta proprio ora. Inoltre sarebbe chiaro perché il gruppo Repubblica-Espresso (cioè De Benedetti) si sia così impegnato nel tesserne le lodi, segno evidente che lo vedrebbero di buon occhio alla guida del PD, e perché Casini col suo UDC continuino a tirarlo per la giacchetta.

     Gli spasimanti, dunque, non mancano. Resterà da capire a chi alla fine l'Uomo del Monte (Zemolo) dirà il fatidico sì.

AG

martedì 20 aprile 2010

Più che una corrente... uno spiffero.


Tutto troppo semplice. Almeno all'apparenza. Intervistato da “il Giornale” a proposito – ça va sans dire – della questione Fini, il neo rieletto Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ha risposto: «si presentino due mozioni, le si votino e si vedrà così quale uscirà vincitrice. Un grande partito opera così».

Grazie tante. E' il sogno di ogni politico: convocare elezioni solo quando si è sicuri di vincerle; anzi di stravincerle come accadrebbe nell'attuale contingenza. Quanti tra di voi, infatti, punterebbero anche un solo soldo bucato sulle speranze di vittoria di un'eventuale “mozione Fini”? La domanda è, ovviamente, retorica e la risposta scontata. Questo non vuol dire, però, che non sia stata posta ai parlamentari ex-AN e gli esiti non sono certo stati incoraggianti per Bocchino&Co. Erano in cerca di 20 deputati e di 10 senatori per formare un gruppo parlamentare autonomo ma ne hanno trovati rispettivamente 18 e 9. Non proprio una corrente, semmai, appunto, uno spiffero.

Uno spiffero che, al massimo, può aver causato un raffreddore (più fastidioso che altro) al Presidente del Consiglio. Berlusconi, infatti, contrariamente alle precedenti crisi con Fini non sembra assolutamente aver voglia di fare sconti né, tantomeno, passi indietro.
«Se troveremo la quadra con Fini? Non dipende da me», ha risposto a Vespa. La posizione è dura, certamente, ma non si può certo dire che sia lontana dal vero. Fini ha deciso di rompere gli indugi e di passare il Rubicone; se poi, andando alla conta, ha scoperto di essere rimasto solo o quasi ed è per questo rimasto a metà del guado, il problema non può che essere il suo.

Deve esserci da parte Finiana, quindi, un'attenta analisi politica della situazione. E deve esserci in tempi brevi. Rimanere così allo scoperto sotto il fuoco incrociato potrebbe creare una frattura insanabile con gli elettori, ammesso che non si sia già creata.

In un paio di giorni è atteso un documento che Fini e i suoi hanno intenzione di presentare alla Direzione Nazionale del partito di Giovedì 22, alla presenza di Berlusconi stesso. Avremo modo perciò di leggere attentamente le motivazioni dello strappo e l'elenco completo dei parlamentari “dissidenti”. Che cosa ci aspetta dunque?

Alla fine la montagna potrebbe partorire un topolino. Scongiurata, al momento, l'ipotesi del gruppo parlamentare autonomo rimane una sola altra opzione: al prezzo di una nomina da far decadere (come per esempio la vice presidenza del gruppo PdL alla Camera di Bocchino), Fini porrà le basi per una semplicissima corrente interna di minoranza. Una posizione debole e temporanea, certo, ma che toglierebbe lui e i suoi dal centro del ciclone in attesa di nuovi sviluppi.

Non è da trascurare la presenza dei ministri leghisti Maroni e Calderoli alla riunione straordinaria convocata oggi da Berlusconi per preparare il big match di Giovedì. Il segnale è chiaro: l'asse della maggioranza è rappresentato da Berlusconi e da Bossi. Non si accettano interferenze da parte di “soci di minoranza”.


Giusto o sbagliato che sia starà a Fini l'onere di prenderne atto e di lavorare – sottotraccia sarebbe meglio per tutti – per ritagliarsi il suo spazio riconquistando la fiducia dell'elettorato che può arrivare solo rimboccandosi le maniche della camicia e ricreando quel rapporto con la base, i quadri intermedi ed i militanti che Fini sembra aver tralasciato preso com'era da tutta la pletora di associazioni-organizzazioni-fondazioni a lui vicine dove, finora, si è praticato moltissimo onanismo intellettuale ma dalle quali non sono uscite tesi applicabili alla politica reale degne di nota.

AG

sabato 17 aprile 2010

FINIsce qua?


Certo, non si può dire che la situazione venutasi a creare dopo l’incontro ad alta tensione di ieri tra Fini e il Cavaliere fosse inaspettata, come del resto la richiesta stessa di un confronto chiarificatore. Berlusconi non è il tipo da tirarsi indietro quando si richiede un chiarimento politico, ed il fatto che per qualche giorno avesse nicchiato, mentre il Presidente della Camera sollecitava l’apertura di un tavolo – a due – di discussione, era motivato dalla piena consapevolezza di quanto sarebbe stato detto e dalle conseguenze.

Non ce ne voglia il Presidente Berlusconi; non ci permettiamo di mettere in dubbio la sua capacità di analisi politica ma come era chiaro a lui che saremmo arrivati al punto in cui ci troviamo adesso, era chiaro un po’ a tutti. Ricaricate le pile, dunque, dopo l’estenuante ma soddisfacente campagna elettorale per le regionali si è calcato l’elmetto sulla testa e si è preparato a sostenere finalmente il conflitto “principe” che rode dall’interno il Popolo Della Libertà fin dalla nascita: quello tra lui e l’ex leader di AN.

I due uomini - lo possiamo dire - non si sopportano più. L’Uno (il Cav.) ricorda fin troppo bene il ruolo decisivo che svolse dal 1993, anno delle elezioni a Roma, nello sdoganamento della Destra italiana da “fascista” a forza di governo e per questo si aspetta riconoscenza; l’Altro (l’ex AN) non è abituato per natura a nutrirne e rinfaccia al Premier una gestione dirigistica e nordista del Partito. L’Uno è abituato a veder esaudite le sue direttive senza discussioni e l’Altro… anche. Con un “però” di discreta rilevanza: L’Uno ha i voti (e tanti) e vince le elezioni, mentre l’Altro ne ha considerevolmente meno e, da solo, un’elezione non l’ha mai vinta. Oltre a questo, si sono rese sempre più evidenti enormi differenze (proviamo ad usare una parola “pesante”) culturali e, di conseguenza, politiche.

Se si riflette, infatti, sull’intero percorso politico dei due, risulta cristallina la grande misura della distanza che li separa. Mentre Fini è nato con la politica, partendo da giovanissimo militante del Msi e scalando il partito, con l’aiuto determinante di Almirante, dalle dirigenze giovanili fino a diventarne il segretario, Berlusconi, dal canto suo, ritiene a torto o a ragione un vanto l’essere entrato in politica in età matura per l’essersi dedicato prima alla sua attività di imprenditore; ed è questa la principale e probabilmente insanabile differenza tra i due. Fini, comunque lo si voglia vedere, fascista o neo-democristiano, rappresenta a dispetto dell’età (ben più “giovane” di quella del Cavaliere) un politico di “vecchio” stampo, cresciuto a pane e sezione di partito, per il quale la militanza, più che le capacità, ha rappresentato la qualità essenziale per arrivare a dirigere il partito e per il quale l’Istituzione Statale rimane qualcosa di sacro ed inviolabile al quale il singolo cittadino deve sottostare e servire. In questo non è per nulla diverso dall’opposizione post-comunista rappresentata in parlamento dal PD. Berlusconi, invece, ha drasticamente modificato rivoluzionandola l’idea stessa del “fare” politica e con lei la figura del politico; cosa per il quale l’establishment istituzionale ed istituzionalista, anche economico, italiano l’ha sempre mal visto e mal digerito.

Siamo perciò arrivati alla resa dei conti e allo scontro finale di queste due visioni della società. Che cosa è lecito attendersi quindi ora? A nostro parere non molto nel breve periodo. Fini proverà a raggiungere la quota minima di deputati (20) e di senatori (10) per creare un nuovo gruppo parlamentare attraverso il quale provare a condizionare l’attività del Governo, senza però tirare la corda fino al punto di rottura ed evitando quindi elezioni anticipate che, nella sua posizione, equivarrebbero ad un suicidio per lui e per tutti quelli che vorranno seguirlo. Si prospettano tre anni di governo non inframezzati da campagne elettorali (ma ne siamo sicuri? E le molte comunali dell’anno prossimo?) nelle quali bisogna necessariamente dare un’idea di compattezza all’elettorato. Questi anni saranno però inevitabilmente viziati da questo “scisma” e a risentirne saranno le disgraziate riforme per intraprendere le quali, a causa di divisioni interne od esterne, non si riesce mai a trovare il giusto clima di dialogo.

Questa situazione, a ben vedere, può risultare fastidiosa per il PDL anche a causa di un altro motivo: è un salvagente tirato verso Casini e l’UDC la cui situazione, dopo la tornata elettorale regionale, non è certamente delle migliori. E’ balzato agli occhi di tutti, infatti, che l’UDC dove ha corso da solo è stato relegato al margine dai partiti più grandi; dove era alleato con il PD ha miseramente fallito; insieme al PDL ha vinto. Questo riduce drasticamente le possibilità di manovra di Casini e segna la fine della politica dei due forni grazie alla quale, nello scudo crociato, si puntava contemporaneamente sia a sopravvivere in questa condizione ibrida, sia comunque a cercare di guadagnare più posti di governo regionale possibili. La scontata soluzione sarebbe stata quella di un progressivo riavvicinamento (ma con la cenere in testa) dell’UDC al PDL. Ora, grazie all’insofferenza di Gianfranco, Casini avrà tutto il tempo per attendere la costituzione di questo nuovo soggetto politico centrista insieme a Rutelli e altri ex Margherita fuoriusciti dal PD, ben sapendo di poter trovare una confortevole sponda e – perché no? – un potenziale alleato in Fini che non si farà pregare per confluirvi.

Sarà certamente interessante osservare come si comporteranno non tanto i dirigenti di alto livello o i parlamentari ex AN, quanto i quadri intermedi, dalle regioni alle province ai singoli comuni. Seguiranno l’ex Capo o rimarranno in orbita PDL – Berlusconi? Tutto dipenderà da quale forma il Premier deciderà di dare al partito dopo la scissione, visto che un riassetto sembra a tutti inevitabile e, per alcuni versi, già in corso. Se vedranno che verrà premiata la precedente appartenenza a Forza Italia allora non si faranno scrupoli a riscoprirsi fedelissimi e ad accasarsi di nuovo vicino a Gianfranco (a costo di morir Democristiani), ma a nostro parere difficilmente lasceranno la casa dove già dimorano per trovarne una molto più spoglia di mobilia e, soprattutto, di voti. Nulla di strano: è politica, e l’autoconservazione è sempre il primo pensiero.

AG

Questo è Politicose


Benvenute e benvenuti,

questo è PolitiCose, un blog di analisi politica che abbiamo voluto creare perché la politica ci piace. Ci piace farla e ci piace raccontarla. Vogliamo raccontare proprio le "cose" che accadono intorno alla politica italiana e senza parlare politichese.

Abbiamo anche la presunzione di saperla raccontare bene.

Non ci piace nasconderci dietro fasulli appelli all'imparzialità ed alla par condicio, perciò l'informazione che troverete su PolitiCose sarà parziale e schierata ma sempre attenta alla realtà.

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PC